mercoledì 12 giugno 2013

This is England

Quante di noi, dopo la malattia, sono davvero riuscite a tornare a una vita "normale"? Il cancro lascia trascichi notevoli. Il trauma, le cicatrici sul corpo e sull'anima, gli effetti collaterali delle terapie. Terapie che, si badi bene, nel caso dei tumori ormonoresponsivi, vanno avanti per anni.
C'e` un altro aspetto, pero`, di cui si parla di meno, che spesso impedisce di rimettere la propria vita in sesto. Quello del lavoro.
Sono passati 2 anni e mezzo dalla diagnosi e sono ancora senza lavoro. All'epoca, ero dottoranda di ricerca. Stavo per consegnare la mia tesi in storia contemporanea. Ho dovuto lasciare le cose in sospeso a un passo da un traguardo agognatissimo. La consegna della tesi e il conseguimento del titolo di dottore di ricerca mi avrebbero forse consentito, nel 2010, quantomeno di sperare di poter continuare la mia carriera di storica. E non che io storica mi sia improvvisata. Ho desiderato fare questo mestiere probabilmente da sempre. A scuola, la storia non la studiava nessuno. Il mio professore del liceo era un pretaccio noioso, ma io la storia me la studiavo da sola. All'universita`, quando preparavo il primo esame di storia contemporanea, studiavo di notte. La curiosita` non mi faceva dormire.
Quando mi sono laureata, nel 2004, l'universita` italiana era gia` allo sfascio. Ho fatto uno stage al Ministero degli Esteri. La mattina stavo dentro al "cubo", cosi` chiamavamo io e alcuni simpatici stagisti la Farnesina. Stavo all'Ufficio Storico. Morivo di noia. Ricordo il giorno dell'attentato a Londra. I giornali riportavano la notizia online, sottolinenando come l'Unita` di Crisi del Ministero degli Esteri fosse riunita e stesse prontamente verificando se ci fossero italiani tra le vittime. La vittima italiana, purtroppo, c'era, si venne poi a sapere. Al quinto piano del "cubo", pero`, la porta a vetri dell'Unita` di Crisi era spalancata e il bar accanto pieno di gente.
Stavo ammazzando il tempo davanti a un computer della Farnesina quando ho mandato una mail a quello che sarebbe diventato il mio relatore di tesi, in Inghilterra, perche` sentivo una stretta alla gola e una vocina dentro di me che urlava "Scappa".
E sono scappata. Ho vinto una borsa di studio. Mi sono guadagnata da vivere per tre anni, facendo un lavoro che mi piaceva. Non completamente, che` l'accademia e` una giungla, ma sfogliare vecchi giornali, aspettare il faldone di carte che poteva contenere proprio la traccia che stavo cercando per ricostruire il filo degli eventi, sentire che pian piano la matassa dei perche` andava addipanandosi mi faceva battere il cuore a mille.
Poi il cancro. Proprio sul piu` bello. Quando il raccolto era vicino e sentivo che il mio talento era fiorito. La tempesta. La paura di affondare. Ce n'e` voluto di tempo per rimettere insieme i cocci, ma ce l'ho fatta. Ho finito la tesi. D'estate. E ho tirato un sospiro di sollievo, intravedendo finalmente la discesa.
Non sapevo cos'altro mi aspettava. Primo tentativo: il corso di abilitazione per insegnare lingue straniere nelle scuole. Per me che conosco quattro lingue, incluso l'italiano che qui vale come lingua straniera, era una buona opzione. Se consideriamo la borsa di studio da 20mila sterline a cui avevo diritto, visti i miei titoli di studio, la prospettiva era addirittura ottima. E cosa succede? Mobbing e discriminazione a causa della malattia. Ho dovuto lasciare il corso a soli tre mesi dall'inizio.
Mi sono sentita di nuovo come una barca alla deriva, ma ho cercato di tenere botta. Ho ricominciato a cercare lavoro. 24 domande, da dicembre ad ora, e non una che sia andata a buon fine. La situazione e` difficile per tutti, non c'e` dubbio, e persino nel cuore dell'Impero i tassi di disoccupazione sono alle stelle. Alcuni episodi, pero`, mi hanno sconcertata.
Prendiamo un caso recente. L'agenzia di traduzione e interpretariato che cerca un interprete nel paesetto dove vivo. Un'agenzia grossa, eh. Invio la domanda e vengo contattata immediatamente. Mi viene richiesto di inviare una copia scannerizzata di 5 moduli da compilare e firmare. Tra questi, un modulo riguardante il mio stato di salute. L'agenzia ha un appalto con il sistema sanitario nazionale. Devono quindi assicurarsi che io sia vaccinata per malattie come la TBC, il morbillo, la varicella, la rosolia. Il vaccino non l'ho fatto - quello per la TBC non era obbligatorio quando io ero piccola, per le altre malattie non esisteva - ma le malattie esantematiche le ho avute tutte. L'ultima sezione del modulo riguarda altre malattie che si ritiene di dover segnalare. Il cancro e` una malattia importante. Non me la sono sentita di mentire. Prima mi hanno risposto che se non avevo le vaccinazioni non potevo lavorare per loro. Quando ho fatto presente che il vaccino per la TBC non e` obbligatorio e che le altre malattie le avevo avute, mi hanno risposto "non c'e` problema". E sono spariti.
Caso numero due. L'associazione per i malati di cancro. Anche questa bella grossa. Cercano volontari per coordinare gruppi di supporto, partecipare a un progetto di storia orale, dare una mano all'ufficio stampa. Mi candido. Partecipo alla prima riunione conoscitiva. Successivamente vengo riconvocata per una "chiacchierata informale", nel corso della quale mi lascio scappare di aver organizzato la proiezione di un documentario sul business del cancro al seno. Strette di mano, sorrisi e grandi promesse. Il giorno dopo ricevo una mail. La mia "studious personality" non si adatta al ruolo di coordinatrice dei gruppi di supporto. Di contro, mi vedono bene nell'ufficio stampa. La responsabile - cosi` mi dicono - mi contattera` quanto prima. Passano i giorni. Silenzio. Faccio la prima mossa. Appuntamento per il lunedi successivo. Proprio quel giorno devo partire per l'Italia per i controlli. Non c'e` problema, mi rassicurano. Contattaci al tuo ritorno. Prima mail. Silenzio. Seconda mail. Silenzio. Passano due settimane. Il ruolo non e` piu` disponibile.
Tranne il breve intervallo dei tre mesi per il corso da insegnante, in cui ho percepito la borsa di studio, sono due anni e mezzo che non metto in tasca un soldo. Ho 33 anni e un dottorato di ricerca e senza lo stipendio del mio compagno e la solidarieta` dei miei genitori non potrei campare. E tutto questo non succede in quello sgangherato paese che gli inglesi pensano sia l'Italia, ma succede in quel sacrosanto luogo di giustizia e prosperita` che il mondo crede sia l'Inghilterra.
L'Inghilterra fa schifo. Fa schifo anche di piu` dell'Italia. Il sistema di sfruttamento piu` pernicioso della storia dell'umanita` - qualcuno lo chiamava capitalismo - ha subito proprio in questo paese una delle sue piu` importanti fasi di accelerazione. Da qui sono partiti eserciti in armi che quel sistema di sfruttamento l'hanno imposto ai quattro angoli del globo. Qui i figli degli oppressi in casa loro, i colonizzati, sono stati resi schiavi due volte. E anche oggi, questo paese e` il cuore pulsante della crisi che sta devastando le nostre vite. L'Inghilterra e` questa. This is England.